venerdì 21 maggio 2010

negare aneliti di normalità

ieri sera, un po' contro voglia ho guardato anno zero. Dico contro voglia perchè sono convinta di una cosa: annozero, ballarò, report.... tutti programmi sconsigliati a chi come me ha una ridotta capacità di controllo dell'indignazione. Poi però il raziocinio mi porta a riflettere sulla rarità di programmi di dibattito e informazione socio-politica, e, non solo, sulla precarietà dei palinsesti del servizio pubblico, sforettati dai cecchini del consiglio di amministrazione rai, con le orecchie rosse per sovraesposizione alla cornetta del telefono.

Quindi, pizzichi sulla pancia e atteggiamento scocciato -da telecomando in mano,pronta al zapping-, mi metto davanti alla tv.

Prima di arrivare al nocciolo della questione mi preme fare due considerazioni.

1. Quanto mirabile e di effetto è la costruzione dell' anteprima del programma: Michele Santoro fa il suo monologo Lucarelliano nello studio a luci spente, seguito dalla bellissima sigla che già ti mette l'ansia perchè ti riporta a suggestioni degne de "LA Piovra" dei tempi d'oro.

2. Pur eccelsa nella regia della trasmissione, ieri ho trovato il pistolotto inziale di Santoro stucchevole, quasi un pianto stizzito e infantile. Forse deluso dai suoi amichetti di sinistra che non hanno esitato a sparargli delle bordate enormi alle spalle, non appena si è paventata la notizia dell'accordo con i vertici della Rai. A Michele non è andato giù, perchè gli piaceva uscire di scena con gli onori e con il portafoglio, ma, si sa, in questo Paese dove la perla più preziosa è nella lettiera del suino più grasso, c'è posto solo per una mascherina: se vuoi essere il personaggio scomodo, che tu lo sia fino alla fine. Se vuoi essere parte del quartierino, lo fai, ma in silenzio, altrimenti vedrai che ti buttano giù dalla torre dove tu stesso sei salito senza spinte. Nuovamente giù.

E arrivo al clou. Ieri la puntata era dedicata allo scandalo pedofilia nella chiesa cattolica.
Con tanto di video, testimonianze delle vittime e carteggi firmati dalle più alte cariche vaticane, i repoter hanno dimostrato quanto malamente la chiesa abbia gestito in passato il problema, spesso ignorando denunce controfirmate di continui abusi, oppure insabbiando il tutto, limitandosi a spostare il "peccatore" da parrocchia in parrocchia.

Oggi, davanti ad evidenze che solo uno stolto o un fanatico sarebbe capace di non vedere, il papa, messo spalle al muro, piange lacrime davanti alle vittime degli abusi di malta. le telecamere lo riprendono. I media si urla al cambiamento, al miracolo: la chiesa è pronta a cambiare.
Ma può un cambiamento tale, che riguarda non tanto il passato, quanto il presente e il futuro della chiesa e il suo modus operandi, misurarsi da un discorso di ammissione di colpa o da lacrime del santo padre durante un pubblico incontro?

Un giornalista, che ha cuore soprattutto i fatti e che deve per deontologia andare a fondo alle notizie, avrà a cuore di capire se realmente si stanno attuando quelle riforme che vanno a scardinare le intemperanze e le coperture delle gerarchie ecclesiastiche, dando potere decisionale alle autorità locali, ordinando la consegna dei pedofili alla giustizia in maniera consequenziale alla denuncia dell'abuso, non più nascondendoli all'interno dei loro confessionali o in qualche chiesa di campagna?

Vien da se che se la chiesa cattolica, ad esempio, paga tuttora le indistruttibili difese penali dei preti pedofili maltesi, e protegge negando la denuncia di quello di loro che ha cercato esilio a Roma scappando dalla giustizia del suo paese, pochi crederanno il quelle lacrime, che sanno di circostanza.

e poi, ciò che non mi spiego è questo. Tutti pronti a gridare al miracolo per un'ammissione di colpa. Ma poi questa colpa è stata ammessa del tutto?
Nessuno ha dato spiegazione di quei numerosi silenzi vaticani di fronte alle denunce. Perchè si è scelto di tacere? Perchè il vescovo di Firenze ha chiesto alla vittima di insabbiare i continui abusi subiti da lei e da tutta la comunità, mettendola in guardia sul "pericolo di fare peccato" andando a denunciare il parroco violentatore? Ma soprattutto se ciò, come molto altro risulta essere verità comprovata, perchè questo vescovo è ancora lì sulla sua seggiola?

La risposta che mi sono data è questa. Se veramente ci fosse una giustizia e si avesse il coraggio di andare in fondo, di incalzare con domande scomode non il pescetto piccolo presente ieri in trasmissione (che poi non è stato fatto neanche con lui), ma di andare a sventolare le carte delle prove sotto il naso dei vari Bertone e Ratzinger, chiedendo loro il perchè delle malefatte e dei perpetrati silenzi, forse si darebbero alla vittime dei segnali più significativi delle lacrime.

Se vi fosse un vero dibattito sulla chiesa e il suo operato, che preveda a domande risposte obbligate. e che i reati siano perseguibili, anche le più alte cariche inquistite e interrogate, forse avrebbe ancora senso parlare di fede e di chiesa del popolo.

Ma fin da piccoli ci hanno insegnato cos'è il dogma, cos'è il mistero, e in base a questo, da bravi fedeli, non dobbiamo aumentare ma infangare il nostro senso critico, e credere nella beatitudine della tonaca, qualsiasi misfatto essa sia pronta a coprire.

Più volte ieri ho sentito parlare del problema della castità e della sua eventuale correlazione con le ragioni della pedofilia dei preti.

Ancora una volta, questo modo riduttivo di affrontare il problema da parte di giornalisti e politici mi ha lasciato senza parole.
Dare la possibilità di sposarsi ad un prete può essere la panacea di tutti i mali?
Perchè non ci chiediamo, come ha tentato di fare Nichi Vendola, se il problema nasce nel modo che la chiesa ha di affrontare la sfera della sessualità, sia nella dottrina che nell'educazione.
Negare che un individuo abbia degli impulsi sessuali nella sua fase di crescita, dalla più tenera infanzia fino all'adolescenza e all'adultità, equivale a buttare nella spazzatura non solo decenni di passi avanti della scienza pedagogica, ma può diventare una prassi molto pericolosa in mano a chi forma le coscienze di miliardi di individui nel mondo.

Veicolare positivamente la sessualità verso l'accettazione e il riconoscimento dei propri impulsi è, non solo compito di educatori e genitori consapevoli, ma anche l'esatta antitesi della repressione e della demonizzazione.

Se fornicare è peccato, come ci insegnano alla dottrina fin dalla più tenera età (senza peraltro, spiegarci cosa significa la parola fornicare) la rivoluzione ormonale che si presenta naturale con la crescita sarà vista dal ragazzo come una cosa insana, da nascondere, da reprimere.

La sublimazione dei sensi che può portare alla castità può solo essere un punto di arrivo di un percorso di fede che porta un individuo adulto e cosciente a prendere consapevolmente tale decisione.
Invece molti preti, credo siano la maggior parte degli ordinati, hanno vissuto tale imposizione fin dall' infanzia, costretti ad una crescita repressiva e innaturale.
Fin dalla più tenera età sono stati abbandonati dalla famiglia, che imponendosi alla loro autocoscenza li ha affidati ad istituti
religiosi chiamati seminari. Qui migliaia di bambini dello stesso sesso si preparano a diventare uomini tra le mura di quello che è un soggiorno forzato che non hanno meritato. Sono lontani dall'affetto genitoriale, ricevono un'educazione religiosa e una sovraesposizione all'indottrinamento. Sono costretti a stare lontani dall'altro sesso, non si interfacciano con la diversità, con la società. Vivono la loro individualità in camerate da dieci letti, in bagni aperti e comuni, non hanno privacy e sono costretti a condividere anche il più nascosto impulso naturale con il vicino di letto.
Imparano fin da piccoli che la masturbazione è peccato, e viene imposta loro una castità senza che abbiano avuto la possibilità di sceglierlo e quanto meno di conoscere cosa significa la sessualità. Io questa la chiamerei, come dire, evirazione dottrinale? Da questo modus operandi possano nascere degli squilibri, se non delle problematiche una volta impiantati questi esseri umani ormai adulti nel il mondo che li circonda, fatto di realtà, di impulsi, di normalità sempre più a fatica costretta nel tabù?
Allora il problema dov'è?
Nella gerarchia ecclesiastica? Nel difficile e mai del tutto sanato rapporto tra stato e chiesa? nell'incapacità di gestire in maniera giustizialista la cappa di copertura di mistero che vige all'interno dello stato vaticano?
Tutte queste cose insieme.
Ma una parte del discorso, come ho tentato di dimostrare, sta più a fondo.

Fino a quando la dottrina cattolica reprime la sessualità dei suoi adepti e stigmatizza la crescita e l'autocoscienza dei bambini nella loro sfera di intimità e di rapporto con il proprio corpo, avremo adulti che non sanno controllare i propri impulsi e ascoltare i propri desideri, non conoscendoli, non essendo abituati a far altro se non a reprimere e nascondere i propri aneliti di normalità.

venerdì 14 maggio 2010

risotto ai funghi con riduzione di vino rosso

la prenderò un po' larga per raccontarvi di questo ennesimo esperimento culinario. E questo perchè mi piacerebbe che dietro ogni ricetta ci fosse una storia che dia un tocco di sapore in più al piatto e che, nel caso vi cimentaste nella preparazione e nell'assaggio, vi porti un po' di me.
quindi dichiaro finalmente aperta e inaugurata la Rubrica "una mela al giorno (farà anche bene, ma non mi soddisfa neanche un po')".
Iniziamo dicendo che a me piace cucinare. Ma non è una passione diciamo, innata, ma si è creata con il passare degli anni, con la virtù e soprattutto con l'esigenza.
Quando ero piccina, diciamo pure fino ai diciotto anni, mia nonna, la signora cuoca di casa, teneva chiunque lontano dal regno della sua cucina. L'unica cosa che c'era dato sapere, a noi fortunati commensali, era che dopo mattinate di sfriggitorii, odori diffusi da ammazzare lo stomaco e polpette nascoste sotto la stagnola, avremmo goduto di manicaretti superlativi, spesso poco leggeri, ma molto molto gustosi.
Andare a vivere da sola mi ha fatto scoprire questo mio amore per la cucina. Nonostante le penurie economiche da studentessa, o forse proprio grazie a quelle, l'ingegno del preparare qualcosa di commestibile con pochi ingredienti (ero anche vegetariana, ai tempi) mi ha portato a sperimentare questa arte tutta umana.
E col passare degli anni ho affinato le mie conoscenze culinarie, ho un po' girato il mondo e provato tanti tipi di cucina diversi, e ho imparato ad amare allo stesso tempo la creatività e la tradizione tra i fornelli.
Il piatto di oggi come dicevo ha una storia, che è un po' presente e un po' passata. Siccome mi chiamo Futura, ma, casualità, mi piace andare a ritroso coi pensieri come i gamberi (avete mai provato a leggere un fumetto dalla fine?) partirò dall'oggi raccontandovi a ritroso la storia del

RISOTTO AI FUNGHI NUOVI CON RIDUZIONE DI VINO ROSSO IN AVANZO DALLE CENE.

allora, partiamo da questo dato di fatto. C'è una cosa di cui sono convinta e che ritengo fondamentale, ovvero, l'amore per la preparazione dei cibi ha inizio tra i corridoi di un supermercato, quando fai la spesa. Mi da proprio soddisfazione scegliere gli ingredienti, pensando spesso "MA con questo che ci potrei fare?" oppure "Chissà come si cucina sto cavolo cappuccio". E' per questo che fare la spesa per me è un rituale, che ha tempi e modalità ben definiti. Solitamente scelgoi dei negozi molto piccoli: minuscoli supermarket di paese, fruttivendoli, alimentari, botteghe....i miei preferiti sono i mercati, dove la "rrrobba bona rrobba bella!!!" si può toccare, prendere, annusare, scegliere e nessuno ti guarda male. Al massimo un mercante ben messo e che fuma delle sigarette senza usare le mani ti urlerà nella faccia "Venghino siore venghinoooooo!!!!!".
Poi però c'è una declinazione diciamo contemporanea di questo comprare che mi trova in disaccordo, o quanto meno rompe l'agio e la festa della spesa: arrivata al banco della frutta e verdura al supermercato, mi tocca:
1-posare il cestino della spesa, facendo attenzione che non sia in un luogo che intralcia il passaggio
2-prendere i guantini che sono così sottili e impiccicati l'uno l'altro che ci metti un'eternità
3-indossare i guantini, per poi pensare "meglio che uno lo tolgo perchè se no come faccio"
4-strappare la bustina tutta arrotolata, che fastidio! (come sopra)
5-toccare finalmente la frutta che viva dio con questa pellicola plasticosa non si capisce nulla se è pronta o no
6-infilarla nel sacchettino
7-andare alla bilancia elettronica
8-tornare indietro perchè mi sono dimenticata di leggere il numerino
9-pigiare il numerino, esce il codice adesivo
10-staccare una parte del guanto che si è attaccata al codice
11-attaccare il codice al sacchetto
12-fare un nodo e passare ad un altro prodotto
Vien da se, che con questa specie di fastidioso e macchinoso automatismo non solo mi si rovina tutto il rito, ma si perde tanto di quel tempo e gioia nel fare la spesa che mi sono trovata costretta ad adottare soluzioni alternative.
Tra queste quella di comprare quella roba già inscatolata che dio la benedica, tipo i pomodori, la lattuga ed anche i funghi.
L'unico problema di questa scappatoia è logistico, ovvero spesso dentro questi pacchetti preconfezionati ci sono TROPPI funghi, soprattutto per una coppia bidimensionale come la mia.
quindi ieri ho comprato sti funghi, che tra l'altro ho chiamato nuovi perchè mi ricordavano le Mazze di tamburo che la mia nonna faceva grigliate, e che qui nelle Marche non si usano tanto. Li ho cucinati come contorno ieri sera ma ne è rimasta una caterva nel frigorifero. Quindi mi sono dovuta ingegnare per farci qualcosa....
e questo il presente......

adesso facciamo un salto indietro
quando ero a Bergamo a studiare all'università, ho fatto spesso per un paio di annetti la cameriera in una trattoria di cucina tipica bergamasca.
Per chi si sta chiedendo cosa vanta questa poco conosciuta tradizione culinaria posso fare una breve parentesi elencativa: casoncelli burro fuso salvia e pancetta, polenta taragna con spezzatino di cacciagione, stinco di maiale al forno con polenta gialla e patate ecc ecc ecc.
Tra questi il mio preferito era il risotto, cucinato in maniera semplice ma superba: giallo zafferano e rosso di vino. Ricordo come se fosse ieri che quando lo servivo al tavolo, durante il tragitto che mi separava dalla cucina al tavolo dei fortunati, guardavo questo cratere giallognolo che eruttava profumati rigagnoli rosso porpora, e mi veniva un'acquolina e certi crampi allo stomaco da star male. Più volte ho immaginato di nascondermi in cantina e, armata di forchetta, fare man bassa una volta per tutte.....

ritornando a oggi
c'erano sti benedetti funghi, e il risotto è stato il primo pensiero. Ma la riduzione non l'avevo mai provata a fare, quindi ho gugoleggiato un po', che è un neologismo che ho coniato io adesso, e ho trovato questa ricetta:

RIDUZIONE DI VINO ROSSO AROMATIZZATO AL TIMO
due bicchieri di vino rosso (e quello c'è anche buono, avanzato dall'ultima cena tra amici)
rametto di timo (non ce l'ho fresco, ma nel vasetto sì)
2 cucchiai di miele (quello buono della Grecia)
sale
porro
olio
Dicono di mettere sul fuoco un pentolino, fare soffriggere il porro nell'olio, aggiungere il vino, il timo e il miele, far andare sul fuoco medio girando con il mestolo fino a quando, sfumato il liquido, la riduzione appunto si riduce, formando una salsina omogenea.

Seguo tutto alla lettera, e a parte l'odore di vino che si sparge nella cucina e che mi fa sentire leggermente su di giri, mi sembra che la cosa sia venuta abbastanza bene. Lascio a raffreddare, e mi metto a fare il risotto per cui ormai ho una ricetta vecchia scuola e consolidata.
Premetto, le mie povere orecchie hanno sentito spesso dire che il risotto si fa facendolo bollire nell'acqua e poi una volta scolato, incorporando riso bollito al condimento precedentemente spadellato.....a questa scuola di pensiero io rispondo: ARGHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!
quindi tu, da bravo cristiano fai il vostro soffrittino di cipolla con l'olio extra vergine di oliva, meglio ancora se quello del contadino. a chi piace piccante ci metta anche un peperoncino secco che una volta fritto toglierete; ci butti il riso (che se non avete la bilancia si misura una tazzina e mezzo a commensale), alzi la fiamma a tutto gas e lo fai tostare girandolo con un mestolo (non dimenticate, per fare un riso bello cremoso usate un wok antiaderente, che non lo fa asciugare mai del tutto). una volta tostato il riso (diventa trsparente) ci butti i funghi tagliati a pezzettini, mescoli un po' sempre a fuoco vivo, aggiungi sale e pepe. quando senti che inizia ad asciugarsi tanto prendi del vino bianco e ce ne spruzzi un po', e subito SFRRR, SFRRRRRRR, sfrigolerà tutto che sembrerete dei veri chef, ma senza fiammata che è pericoloso.......
a parte avrete preparata del buon brodo, di carne o di verdura a piacimento, e una volta asciugato il vino procederete un mestolo per volta a fare questa operazione: bagnate il riso col brodo, mescolate lentamente fino a farlo asciugare (abbassate a fuoco medio), e poi ancora, bagnate mescolate e asciugate, bagnate mescolate asciugate......
quando il tempo trascorso, (circa 10/12 min) o i ripetuti assaggi, vi dicono che il riso è quasi pronti, smettete col brodo, abbassate la fiamma al minimo e girate, girate girate!!!!!! questo per circa 3 minuti, poi spegnete la fiamma, incorporate di (a vostra scelta): pepe, formaggio, (io c'ho messo il curry), una noce di burro, fate fondere il tutto e il risotto è fatto
Adesso è arrivato il momento di incorporare il piatto: risotto e riduzione. Allora prendete un bel piatto: io che sono nata in una famiglia semplice il primo l'ho sempre mangiato nel piatto cupo (per intenderci quello a scodella), per poi scoprire qualche anno fa che ERROREEEE, SACRILEGIO.....si mangia nel piatto piano sia riso che pasta....ma io sapete che vi dico? che ormai sono abituata così e me ne frego!!!!!
quindi prendete il piatto che vi pare, fate un monticello di risotto, armatevi di mestolino piccolo, altrimenti di cucchiaio, prendete con questo un po' di riduzione, fate col mestolo una conchetta nel riso e versateci dentro la riduzione.....
e il vostro piatto è completo.
poi arriva il coniuge affamato dal lavoro, lo assaggia, gli piace e fa anche il bis!!!! e voi sarete tanto contenti-----
f.



martedì 4 maggio 2010

Roma città aperta

dopo tre giorni di vacanze romane è difficile ricalibrare gli impegni lavorativamente parlando.
Roma ha un fascino fuggente, nascosto tra lunghe scie di multietnico turismo di massa e automezzi in doppia fila e in coda ai semafori.
Ho potuto constatarlo il primo di maggio, quando gli avventisti dei concerti di sinistra si ammassano in piazza san giovanni e limitrofi e i turisti nel luoghi di cluto in piazza navona e similari. Il resto della capitale è piacevolmente deserto, abbandonato dai residenti per la gita fuori porta, ancora denso di echi di voci e di calpestio.
Un posto molto bello ed inedito è un minuscola via che da via del pellegrino porta e campo dei fiori. ha i ciottoli rastrellati, case basse dalle finestrelle piccole e di legno, che spesso nascondo anfratti, dove l'accozzaglia di pennelli intinti e pezzi di legno raccontano di laboratori di pittori o restauratori.
Mi ha colpito molto un cartello, "non ci sono lavori, parcheggiare qui"...che dice tutto su quanto i luoghi comuni che raccontano di esasperato cinismo romano abbiano a volte delle eccezioni piacevoli.
Nella stessa via un scena bucolica, quasi pasoliniana, di uomini avanti con gli anni seduti al contrario su seggiole di legno in strada che si raccontano della lazio e dell'inter e guardano trucidi questi due turisti passare.... un'immagine che non mi sarei mai aspettata di vedere nel cuore di roma, ma che piacevolmente mi fa rifletter sulla frase "tutto il mondo è paese".
Dopo quasi tre anni di vita nelle Marche e nel paesello, questo soggiorno romano mi ricorda cosa ho amato del vivere in città, ovvero la forza cosmopolita che trasmette, la possibilità di entrare in contatto con tante tipologie umane differenti, il chè lo trovo sempre arricchente e una capacità di aumentare e veicolare la capacità critica che abbiamo su noi stessi. Paradossalmente penso che con l'aumentare delle dimensioni del luogo in cui viviamo (e quindi la densità di popolazione di questo) diminuisce esponenzialmente la nostra sfera in cui l'io egocentrico prende il sopravvento sulla società e sul mondo, dando spazio a quanto la considerazione dell'altro prende posto nella nostra vita.
A Roma l'Altro è sempre e costantemente presente, si affacci in maniera violenta e quasi ossessiva alla finestra della nostra vita, il chè potrebbe portare, senza ombra di dubbio, ad una eccessiva messa in discussione, ma forse anche ad ergere muri e a costruirci indifferenze.
E' forse per questo che ho deciso di abbandonare la città....e allo stesso tempo di tornarci spesso per riscoprirne le magie e raccoglierne le idee e le informazioni sul mondo. Così avrò sempre la capacità di stupirmi e di farmi delle domande.

lunedì 15 marzo 2010

Sui ventenni, i compartimenti stagni, la destra e la sinistra

Questa mattina, come spesso succede da quando ci svegliamo l'uno accanto all'altra, io e Olli abbiamo intavolato (insieme a biscotti e caffè) una di quelle discussioni chilometriche, su di noi, sulla gente e per finire sui massimi sistemi(leggi "politica"). Il tutto immancabilmente fa venire mal di pancia a me, arrivare in ritardo al lavoro lui e smuove dentro voglia di continuare la discussione e di scrivere.
Oggi quindi era la volta dei "ventenni".

In realtà è partito tutto da una di quelle mie affermazioni che volente o nolente, aprono una voragine, dove mio marito ama addentrarsi impavido: "Stare con Tizio Caio e Gino mi fa stare bene, mi fa sentire cinque sei anni in meno", e lì Olli, pronto al salto nel vuoto "Cioè?"

Cioè?
è una bella domanda cioè
come faccio a spiegarti, senza farti arrivare tardi al lavoro?

Tizio Caio e Gina sono, chi più chi meno, miei coetanei.
Sono simpatici, intelligenti e ironici come piace a me.
Però c'è quel qualcosa che ci divide, o meglio che ci unisce nel momento in cui faccio un passo in dietro nel mio modo di pensare e di ragionare sul mondo, e torno a me stessa a vent'anni. Quindi...
" A vent'anni tu com'eri? Io, ed era facile non credere, molto più di adesso, ragionavo per "compartimenti stagni", incasellavo tutto in categorie che avevo io stessa creato: pro o contro questo, come questi e diversi da quelli, dentro o fuori".
Era semplice.
A vent'anni sei poco più di un ragazzino, ma ti senti già un uomo.
Sei un universitario, o magari già lavori, e questo ti differenzia dai liceali, dagli adolescenti devi in qualche modo essere diverso.
Devi dimostrare che ragioni con la tua testa, che hai gli strumenti per giudicare la società, le situazioni e quello che ti circonda.
E nel far questo le categorie ti aiutano, basta incasellare il tuo ancora "non" pensiero, o "quasi" opinione, e lasciarsi trasportare nel flusso che ti canalizza durante la crescita e la ricerca della identità, da una parte o dall'altra del branco.
E' una specie di autorealizzazione del sè attraverso la definizione dell'altro, senza stare a scomodare Freud.
E quindi ecco uscire fuori, parlo sempre di Tizio caio e Gina, affermazioni del tipo "No, perché "le ragazze" oggi si comportano in questo modo, quelli che si vestono così, quelli che ascoltano cosà, quelli di destra e i tizi di sinistra" e un via di casellette, il che prospetta uno scenario per quanto semplice, piuttosto semplicistico della vita e del mondo.

Ovvero si può pensare di racchiudere la gente in gruppi, ai quali corrispondono modi di vivere e quindi comportamenti, e quindi la costruzione del tessuto sociale divisa in branchi che si differenziano tra loro in base ad atteggiamenti standardizzati e quindi prevedibili?
Noi parliamo di ventenni e atteggiamenti stereotipati e ci è difficile pensare, in quanto individui, al mutismo del sè, alla autocensura del proprio io regnante e dispotico della nostra autodeterminazione, in barba, o quantomeno scomodo, a quanto legifera fuori dal nostro contesto celebrale.
Ma quanto scomodo è ammettere che decenni di filosofia, sociologia e psicologia hanno basato e in alcuni casi ancora basano, ricerche, sperimentazioni e teorie sulla "logica del soldatino e del burattinaio?".....siamo forse tutte paperelle e il branco è il Konrad Lorenz che ci dà l'imprinting?

E qui mio marito, come una falce (simbolo politico che più lo rispecchia)
"Tu pensi che solo i ventenni abbiano questo modo di fare? Conosco tanti miei coetanei sulla quarantina che ci sguazzano sui ragionamenti standardizzati"
E qui ha ragione, e ci penso a sabato sera, quando la non proprio ventenne mi ha chiesto se non fossi troppo elegante per andare in quel locale da alternativi....
Però è vero, allora quel ventenne rimane dentro di noi, c'è e lo tiriamo fuori all'occorrenza, Quando non abbiamo voglia di mettere in discussione le cose, quando non vogliamo sfoderare il nostro senso critico, quando ci pesa spostare il culo di qualche metro, solo per girare il capo e cercare un nuovo punto di fuga.
O semplicemente quando, nella nostra caselletta, mistati col gruppo e con le consuetudini, ci sentiamo al sicuro, al riparo da quelle domande scomode, al calduccio e intonati, vestiti bene e anonimi.


F.